I grandi vini da collezione sono il bene rifugio che negli ultimi 10-15 anni hanno dato (insieme alle auto d’epoca più costose, con valori superiori al milione euro) i migliori rendimenti: non meno del 192%. E gli indici annuali della Knight Frank Luxury Investment sembrano confermare che anche in futuro questo trend proseguirà.
Negli ultimi 15 anni, secondo l’ultima valutazione della società inglese Liv-Ex, che analizza domanda e offerta dei vini di qualità, i collezionisti di vino hanno guadagnato più di chi ha investito in Borsa. In particolare, il Liv-Ex 100 ed il Liv-Ex 1000 dal 2004 al 31 dicembre scorso sono cresciuti rispettivamente del 213% e del 258%. «Visto l’andamento del recente passato – spiega Alessandro Regoli, che dirige l’agenzia specializzata Winenewsnon sarebbe una sorpresa se il vino conquistasse il primo posto tra gli investimenti più redditizi, dopo un 2018 che ha visto battere record su record». I due casi eclatanti sono stati i 496.000 e i 558.000 dollari battuti da Sotheby’s a New York per due bottiglie del 1945 della cantina francese Romanée-Conti, e gli 11,6 milioni di dollari spesi in Svizzera da Baghera Wines per una collezione di 1.360 bottiglie.

Bene anche i vini italiani (ma solo un Amarone veneto rompe il duopolio toscono-piemontese)

Nel corso del 2018 le performance migliori per i vini italiani sono state della Riserva Brunello di Montalcino 1955 di Biondi Santi (4.316 euro a bottiglia) e del Barolo Riserva Monfortino 1978 di Giacomo Conterno (3.267 euro). Nel 2018 dei 50 vini più costosi 21 erano toscani e 28 piemontesi. Il veneto Amarone 2003 Amabile del Cirè di Giuseppe Quintarelli (508 euro) è l’unico di altre regioni.
Da segnalare lo straordinario exploit a ottobre del Sassicaia 2015: messo in vendita a 110 euro a bottiglia, è schizzato a 360 euro appena una settimana dopo grazie al giudizio della rivista americana Wine Spectator che l’ha valutato miglior vino al mondo dell’anno.