“… Dice Ruggero Orlando che domani sono qui…”: lo cantava, qualche decina d’anni fa, con tono giocoso, Bruno Lauzi. Per chi è più giovane, Ruggero Orlando era il giornalista che commentò lo sbarco dell’uomo sulla Luna. E di uno sbarco cantava Lauzi: quello dei cinesi in Europa. In quei tempi il gigante cinese era guidato da Mao e il mondo occidentale si sentiva minacciato dell’invasione gialla e comunista.

Ma domani i cinesi saranno davvero qui! I tempi sono molto cambiati e diversi sono anche gli eredi del Celeste Impero: non rappresentano più una minaccia ideologica, ma sono competitori del sistema economico occidentale. Tanto che Usa e Europa temono di vedersi schiacciare proprio sul loro terreno, quello della produzione industriale che nel Paese orientale può contare su una enorme forza lavoro, a basso costo e iperproduttiva.

Ma è l’Italia che oggi potrebbe aprire le porte all’invasione cinese attraverso la via romanticamente definita “della seta”. Un progetto che ha destato molte cautele dentro e fuori il Governo, dentro e fuori i confini delle nostre tradizionali alleanze internazionali. Come suggerisce nome, la “Via della Seta” vorrebbe riaprire il percorso che i mercanti, i più famosi erano veneziani, percorrevano dall’Europa verso la Cina e ritorno. Ma il rischio è che oggi il vero percorso sia quello dalla Cina verso l’Europa (ed eventualmente, ritorno).

Il nodo è tutto qui: nel capire quale sia la possibilità per il prodotto italiano di penetrare nel mercato cinese, che oltretutto ha necessità di volumi che non sempre sono alla portata delle piccole e medie imprese nazionali, e quanto si corra il rischio di veder prevalere la potenza finanziaria cinese che vuole trovare uno spazio per espandersi e diffondere il proprio potere. Perché, cantava sempre Lauzi, «… ti insegnano il saluto con l’alfabeto muto così non parli più…» ed in gioco c’è molto di più del mercato, ci sono le radici stesse dell’Europa e di ciascuno dei Paesi che la compongono .