Autunno, tempo di premi per il mondo del vino. Vi abbiamo dato su queste pagine il resoconto di alcuni tra i più prestigiosi riconoscimenti nazionali. Se oggi ci soffermiamo in questo commento sul giudizio di un celebre critico statunitense non è solo per per vantare la qualità italiana. È vero che lo stimatissimo James Suckling colloca tra i primi dieci vini del 2017 due vini italiani (il Galatrona 2015 di Petrolo e il Saffredi 2015 di Fattoria Le Pupille) e ben 17 tra i primi cento. Ma è ben altro il segnale che arriva da questa classifica.
Al primo posto viene a classificarsi infatti un vino cileno, il Puente Alto 2015 di Almaviva, e sono ben sei su dieci i vini extraeuropei che dominano la classifica: oltre al primo ci sono altri due cileni, un argentino, un australiano ed un californiano (con il nostro personale auspicio che gli incendi che hanno colpito quello stato e le locali valli del vino non abbiano prodotto danni irreparabili).
Sei su dieci con solo due italiani, un francese e un austriaco: la geografia del vino sta proprio cambiando e non in una direzione positiva per il più importante prodotto dell’italico export. Se vogliamo poi aggiungere a questo il crollo della produzione nazionale ed europea registrato nel 2017 il quadro generale si fa davvero fosco.
Alla luce di ciò, merita una considerazione anche la sentenza del Tribunale di Venezia (tale è e non va commentata) nella lite tra il Consorzio della Valpolicella e le Famiglie dell’Amarone. È innegabile che negli anni appena trascorsi l’azione svolta dalle ‘Famiglie’ sui mercati internazionali ha fatto crescere la reputazione di questo vino qualificandolo a livello dei più celebrati rossi della produzione europea. Di una cosa si può oggi essere certi: una lite sul nome ‘Amarone’ è la più nefasta tra le prospettive che, con questi chiari di luna, potrebbe abbattersi sulla produzione enologica veneta.