“Recessione” non è solo una parola: è anche uno stato emotivo che contagia l’umore del mondo economico, della finanza e dell’industria. Ma anche delle famiglie che guardano oggi con minor fiducia al proprio futuro. Perché recessione può (non vogliamo essere drasticamente pessimisti) voler dire contrazione degli investimenti, della produzione e dell’occupazione oltre allo spauracchio peggiore: quello di una ‘clausola di salvaguardia’ che potrebbe far schizzare di 3-4 punti percentuali l’Iva sui prodotti di consumo quotidiano per le famiglie.
Leggendo la relazione ufficiale, l’Istat sottolinea che sul dato di caduta del Pil incide sensibilmente “… un contributo negativo della componente nazionale della domanda… ”. La sollecitazione delle domanda interna sembrerebbe quindi assolutamente importante e c’è da chiedersi se vada in questa direzione la proposta che nei prossimi giorni inizia a Montecitorio il suo iter parlamentare per chiudere i negozi alla domenica. Il messaggio lanciato, lo spirito del provvedimento è proprio questo, anche se poi si naviga in mezzo a deroghe, ripensamenti, critiche e revisioni.
Allo stato sembrerebbe che i negozi e i centri commerciali (veri bersagli di questa annosa campagna) potranno stare aperti per 26 domeniche e quattro festività l’anno; che non ci saranno vincoli per i mobilifici (?), per i negozi nei centri storici e per chi lavora per le partite Iva (??); che ci saranno le norme contro il commercio online. E alla fine dovranno essere le Regioni a decidere (ma anche le Città Metropolitane rivendicano il proprio ruolo).
Tanto era semplice la liberalizzazione, tanta è la confusione che si sta profilando all’orizzonte per la volontà di normare tutte le situazioni. Con il rischio di perde di vista quello che dovrebbe essere l’obiettivo vero: far crescere quella fiducia dei consumatori che si trasforma in aumento dei consumi.